Che fatica leggere Stefano Davide Bettera – Il volto dell’altro

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Hai in mente di comprare un libro scritto da Stefano Davide Bettera e stai cercando recensioni e opinioni per capire se può essere un buon acquisto?

Scrivo questo articolo soprattutto per chi si approccia per la prima volta a questo autore. Lo dico subito, sono rimasto deluso… ma meglio andare con ordine. E prima di procedere, ricordo che questa è ovviamente un’opinione personale, mossa dal sincero intento di dare un contributo costruttivo.

Le basi

La filosofia del pensiero buddista che fa da base alle riflessioni di Bettera, negli ultimi decenni, ha avuto una discreta crescita d’interesse anche in occidente.
Si tratta di concetti non sempre facili da comprendere a causa del modo in cui vengono espressi nei testi tradizionali. Concetti decisamente più facili da assimilare (almeno per noi occidentali) se estrapolati nella loro essenza e riformulati con un linguaggio a noi più familiare. Un linguaggio più essenziale, magari semplicistico, ma utile per comprendere l’essenza del messaggio. Questo perché una volta compresa l’essenza, siamo in grado di approfondire l’argomento, anche attraverso quei testi apparentemente più complessi, ma che in realtà hanno solo un metodo comunicativo diverso da quello a qui siamo abituati.

Dunque, semplificare e raggiungere l’essenza

Ovvero quello che Bettera non riesce a fare. Anzi, si muove nella direzione diametralmente opposta. Scrive frasi ricche di parole ricercate. Ripete le stesse frasi con parole ancora più ricercate. E poi ancora e ancora, finché un intero capitolo non diventa altro che un’espressione barocca, anzi rococò, di un unico concetto celato da grovigli linguistici che ne precludono la comprensione. Puro dilettantismo dialettico, per rispondere a tono.

Proprio quello che è successo al buddismo delle origini, pensiero filosofico, poi corrotto [mia valutazione] da riti cerimoniali che lo hanno trasformato in religione. D’altronde, processi di questo tipo si sono verificati spesso nella storia: esagerato uso di fronzoli per “abbellire” un pensiero altrimenti troppo “rude”, la vittoria di un’estetica arbitrariamente considerata più intrigante a scapito dell’efficacia divulgativa di un argomento.

Triste non potersi fermare qui con le critiche alla scrittura. I periodi troppo lunghi e la punteggiatura mal gestita, rendono la lettura davvero estenuante.

Ho deciso di acquistare il libro Il volto dell’altro dopo averne sentito la presentazione in radio. Prima e credo ultima volta che valuterò un acquisto in questo modo.
La presentazione è stata convincente per come i temi sono stati esposti a voce durante l’intervista. Ho trovato le argomentazioni davvero interessanti. Peccato non aver trovato quella dialettica nel libro. Qua e là emergono riflessioni degne di nota… ma sempre sprofondano in uno sproloquio di vocaboli stranamente assortiti. Alcune frasi sembrano essere state concepite da un algoritmo che associa parole dal significato vagamente compatibile, salvo poi accorgersi che più si procede nella lettura, più il senso del testo diviene sfuggente.

Il volto di chi?

Aggiungo anche che, in un libro non dichiaratamente filobuddista, il malcelato favoritismo verso le parole di Budda (che io pure apprezzo) rispetto ad altre fonti di pensiero, è evidente (e ritengo che in questo caso non dovrebbe) in modo piuttosto grossolano.

Quello che invece l’autore cerca di dirci, rimane molto meno esplicito e il suo messaggio rischia di andare perduto in un mare di complessità discorsive. Questo sembra un libro da leggere solo dai pochi che riescono a destreggiarsi in questo mare. Ma un libro per pochi è un libro che fallisce nel suo scopo primario: essere un mezzo divulgativo.

L’epilogo è un imbarazzante mix di autoelogio e autocompiacimento per autoconvincersi che scegliere di scrivere un altro libro sia stata una buona idea. A tale scopo si autoproclama capace scrittore, profeta della gioia di vivere ovvero detentore del segreto della felicità col compito di trasmettere la sua scoperta ai posteri. Chiunque scrive un libro, dovrebbe mantenere l’umiltà di considerare che ciò che scrive può essere messo in dubbio e che potrebbe essere scritto pure male. Dunque meglio tenere per sé il risultato dell’autoanalisi e lasciare il giudizio finale a chi legge.

Due parole, infine, sul senso di questo articolo

Non è frequente trovare recensioni sul metodo comunicativo di un autore, cosa che io in realtà ritengo utile. Specialmente in casi come questo, per fornire un punto di vista in più a chi si appresta a spendere una cifra ingiustificata dai costi editoriali. 18€ per un libro con meno di 200 pagine sono davvero tanti… e per questo libro in particolare, troppi!

Lo ribadisco: questa rimane una libera opinione personale. Sono le opinioni libere, sia che le condividiamo, sia che no, che ci rendono liberi.
A voi la libertà di scegliere cosa leggere.

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Pubblicato da AboutART

Tutto quello che leggi è frutto della mia personale opinione.